Tofana di Rozes/Pilastro - Via Costantini/Apollonio

 
Zona montuosa Dolomiti - Gruppo delle Tofane Località di partenza Rifugio Dibona - Località Cian Zopè (BL)
Quota partenza 2037 Mt. Quota di arrivo 2820 Mt.
Dislivello totale

+253 Mt. per l'attacco
+530 Mt. la via (540 lo sviluppo +150 facili)

Sentieri utilizzati n. 403, 442, 404
Ore di salita 50' per l'attacco
10 h. la via
Ore di discesa 1 h. 15'
Esposizione Sud-est Giudizio sull'ascensione Ottima, di grande soddisfazione
Data di uscita 07/08/2016 Difficoltà VII+/VI, A1
Sass Balòss presenti
Luca.
Amici presenti
Claudia.
Condizioni climatiche, dei sentieri e della roccia

Giornata stupenda che ci ha permesso di affrontare con serenità questa difficile salita. I sentieri che si percorrono durante l'avvicinamento sono evidenti e ben segnalati. La prima parte del sentiero di discesa richiede particolare attenzione per via di una cengia notevolmente esposta. La roccia in via è ottima. Alcuni passaggi sono levigati per via delle molte ripetizioni ma fortunatamente sono pochi quelli veramente scivolosi.

Eventuali pericoli

Soliti da arrampicata in ambiente. Prestare particolare attenzione allo stato dei cordini sui due tetti e sulla "Schiena di mulo" in quanto alcuni sono decisamente molto logori.

Presenza di acqua
E' possibile reperire acqua al rifugio Dibona.
Punti di appoggio
Rifugio Dibona e rifugio Giussani.
Materiale necessario oltre al tradizionale

Normale dotazione alpinistica. Fondamentale una serie di friends (da 0.4 a 4 Camalot) per integrare le protezioni presenti a volte dall'aspetto un po' precario. Necessari anche cordini per le clessidre. Martello e chiodi non necessari, noi li avevamo ma non li abbiamo usati; comunque potrebbero tornare utili in caso saltino dei chiodi.

Caratteristiche dell'arrampicata

Descrizione generale
Dal libro "Dolomiti - Le vie più belle" di Mauro Bernardi - Athesia Spectrum:
"Nel 1939 nasce il gruppo "Scoiattoli". Sono arrampicatori ed alpinisti non professionisti, conosciuti in tutto il mondo per l'appassionata attività, sia in Dolomiti e nell'arco delle Alpi, che sulle più alte e sperdute montagne della terra. Possono far parte della società solo i residenti a Cortina con alle spalle un adeguato curriculum.".
Due di questi "Scoiattoli", Ettore Costantini detto "Vecio" e Romano Apollonio detto "Nano", sono i protagonisti dell'apertura, il 13 e 14 luglio 1944 nel pieno della seconda guerra mondiale, di questo spettacolare itinerario, probabilmente tra i più belli e ripetuti delle alpi. Costantini aveva già tentato la salita nel '43 con Igi Mendardi. La linea è sorprendentemente logica ed elegante e, per l'epoca dell'apertura, una vera dimostrazione di audacia dal momento che affronta direttamente gli strapiombi gialli nel centro della parete senza cercare di aggirarli. Una fessura quasi ininterrotta porta alla sezione di roccia gialla protetta, in entrata ed in uscita, da due tetti. Poi la faticosa e quasi mitica "schiena di mulo" immette in un sistema di diedri ed infine si esce dalla parete mediante un esposto ma facile traverso nel quale, appigli e appoggi, si trovano sempre nel posto giusto tanto da sembrare posizionati lì apposta per traversare.
La chiodatura è rimasta quella classica con alcuni cordoni decisamente logori. Negli ultimi anni sono comparsi dei fix nella sezione gialla, ma ad accezione di uno di passaggio sul primo tetto, gli altri si trovano solo alle soste.
Attacco, descrizione della via
Da Cortina d'Ampezzo si sale la strada statale 48 che conduce al Passo Falzarego fino ad imboccare la strada (inizialmente asfaltata, poi sterrata) che conduce al rifugio Dibona dov'è possibile parcheggiare. Da qui s'imbocca il sentiero n. 403 (strada sterrata) che sale al rifugio Giussani. Raggiunta la stazione della teleferica si abbandona il sentiero 403 e s'imbocca il 442 in direzione della Ferrata Lipella. Una volta raggiunta la base della parete la si costeggia brevemente verso destra (viso a monte) seguendo il sentiero n. 404 fin sotto al "Pilastro". Identificare una cengia sovrastata da un pilastrino. Percorrerla da destra verso sinistra per circa 20 metri fino al bordo destro del pilastrino che forma un diedro. Qui attacca la via Costantini/Apollonio. Sulla stessa cengia, poche decine di metri più a sinistra, attacca la via
Costantini/Ghedina (Secondo Spigolo).

1° tiro:

salire il diedro con alcuni passaggi iniziali non banali e poi più facilmente sino alla sosta (2 chiodi+clessidra+cordone) situata prima del temine del pilastro. 40 Mt., V, IV, 2 chiodi.

2° tiro:
dritti sulla placca obliquando leggermente a destra dopo i primi 3 o 4 metri. Poi traversare un paio di metri a destra, alzarsi altri due metri e quindi traversare lungamente ma facilmente sempre verso destra abbassandosi leggermente fino a raggiungere il comodo terrazzino di sosta (2 chiodi+cordone). 25 Mt., V, IV-, 4 chiodi, 1 golfaro.

3° tiro:
seguire la fessura passando sul bordo destro di un tettino giallo. Continuare fino un secondo tettino che si supera direttamente per sostare appena sopra (2 chiodi+clessidra+fettuccia). 35 Mt., IV, V, VI-, 4 chiodi, 1 masso incastrato con cordone.

4° tiro:
seguire la fessura inizialmente con alcuni passaggi non banali e poi via via più semplice. Si sosta (2 chiodi+cordone) su comodo pulpito.
25 Mt., V+, IV+, 3/4 chiodi, 1 clessidra con cordino.

5° tiro:
sempre seguendo la fessura, ora decisamente più facile, fino un ripiano sulla destra dove si sosta (2 chiodi+fettuccia).
25 Mt., IV+, IV, 2 chiodi.

6° tiro:
portarsi alla base dello strapiombino e superarlo direttamente. Si continua per rocce più facili in obliquo verso destra. Ignorare una sosta intermedia (2 chiodi+cordone) e continuare fino a un comodo terrazzo di sosta (2 chiodi+cordone+1 chiodo) alla cui sinistra c'è una caratteristica voragine. La sosta che si ignora è situata sulla prima cengia dalla quale è possibile avere una via di fuga verso destra in direzione del
Primo Spigolo fino a raggiungere il canale e scendere in corda doppia.
50 Mt., V, VI-, VI-, 1 chiodo, 1 cuneo con cordone, 1 sosta intermedia (2 chiodi+cordone).

7° tiro:
per placchetta articolata a destra della sosta. Poi spostarsi un po' a destra cercando i punti più facili e salendo all'inizio delle rocce gialle. Qui si trova una sosta (3 chiodi+cordone). Conviene rinviarla lunga e continuare. Spostarsi a sinistra prendendo una fessura obliqua verso destra che porta ad un piccolo pulpito sotto al primo tetto dove si sosta (3 chiodi+1 fix+cordoni. Allungare bene anche il primo chiodo nella fessura). 45 Mt., IV, V, 2 chiodi, 1 clessidra con cordone, 1 sosta intermedia (3 chiodi+cordone).

8° tiro:
superare il tetto e sostare poco oltre (2 chiodi). 15 Mt., VII+ oppure A1, V+, 5 chiodi, 1 fix.

9° tiro:
superare il muro giallo seguendo a tratti una fessura con andamento leggermente verso destra. Si sosta (3 chiodi+cordino) su aerea cornice. 20 Mt., VI-, 6 chiodi.

10° tiro:
continuare sul muro giallo, ora decisamente più impegnativo, fino alla sosta (4 chiodi+1 spit+cordoni+maglia rapida) posta sotto al secondo tetto. 15 Mt., VI, 5 chiodi.

11° tiro:
portarsi faticosamente sotto al tetto (questo è il tratto più unto della via e, a nostro avviso, l'unico veramente fastidioso). Superare direttamente il tetto e poi, per rocce più facili, raggiungere la seconda cengia dove si sosta comodamente (clessidra con cordoni) accanto ad un profondo camino. 20 Mt., VI, V, VII oppure A1, IV, 2 chiodi, 3 chiodi uniti con cordone, 1 barra di ferro.

12° tiro:
eccoci alla base della famigerata "Schiena di mulo". Salire il camino fin dove si chiude. Qui è necessario uscire verso sinistra e superare uno strapiombo. Spostarsi a sinistra e superare ancora uno strapiombino per continuare poi nel camino soprastante con difficoltà decrescenti fino a raggiungere un comodo pulpito di sosta (2 chiodi).
40 Mt., IV, VI+ oppure A0/A1, VI-, V, 6/7 chiodi, 2 clessidre con cordoni, 1 masso incastrato con cordone, 1 cuneo con cordoni.

13° tiro:
continuare nel canale fino al suo termine. Spostarsi a destra su terrazzino un po' erboso alla base di un diedro giallo/grigio e sostare (2 chiodi). 25
Mt., IV, I.

14° tiro:
salire il diedro che poi si allarga a camino. Dove si chiude (2 chiodi per sosta intermedia) si esce a sinistra e ci si riporta nel fondo appena sopra raggiungendo una clessidra con cordone dove si sosta. 35 Mt., V+, V, IV+, 1 chiodo, 1 sosta intermedia (2 chiodi).

15° tiro:
continuare nel diedro/camino fino uno strapiombino. Appena oltre conviene aggirare lo spigolo a destra (attenzione rocce instabili) e salire fino alla cengetta dove si sosta (2 chiodi+cordone). E' anche possibile salire il diedro fino alla fine (1 chiodo). 20 Mt., V, IV+, 4 chiodi.

16° tiro:
obliquare facilmente a destra e poi salire per risalti fino ad una nicchia gialla. Spostarsi a sinistra e sostare (2 chiodi) in forte esposizione. 20 Mt., III, IV-, 1 clessidra con cordone.

17° tiro:
lungo traverso verso sinistra in forte esposizione ma sempre con belle prese o buoni appoggi che stupiscono da quanto sono logici e ben disposti. Quando la parete soprastante si fa meno verticale si sale brevemente fino alla sosta (1 clessidra con cordone). 35 Mt., IV, 1 chiodo, numerose clessidre.

18° tiro:
aggirare a destra le rocce soprastanti e poi obliquare decisamente verso sinistra fino a raggiungere una cengetta (1 ometto sul percorso). Spostarsi all'estremità sinistra della cengia e attrezzare una sosta (spuntone). 50 Mt., III, I.

19° tiro:
traversare a sinistra entrando nel largo canale (ometto). Tenersi sulla sinistra e continuare fin sotto un salto verticale. Qui spostarsi verso destra (ometto) e superare una breve paretina (8 Mt., III, clessidra per eventuale sosta al suo termine sulla destra). Continuare ancora facilmente nel canale fino ad uscire sulla spalla dove termina la via. Sosta da attrezzare (spuntoni). Circa 150 Mt., I, III, I.
Discesa
Dal termine della via si segue una traccia che scende (ometti). Dopo aver superato un canalone si prosegue su di una cengia molto esposta che aggira la parete verso destra. Da qui attraverso grossi massi in breve ci si raccorda al sentiero n. 403 e quindi al rifugio Dibona (presente una palina con indicazioni per raggiungere il rifugio Giussani).

Nel settembre 2011 una frana ha reso temporaneamente inagibile il sentiero di discesa da noi descritto. E' stato quindi ripreso un vecchio sentiero di guerra per aggirare la frana: dal ghiaione al termine della via si risale inizialmente il canale sulla sinistra della Punta Marietta (bolli e frecce rosse, vedi foto). Raggiunta la forcella si scende sul versante opposto, per ripido ghiaione, in direzione del visibile rifugio Giussani. Senza raggiungerlo ci si raccorda al sentiero n. 403 e si ritorna al rifugio Dibona.
Aggiornamento settembre 2020: Stefano Falezza ci segnala che la vecchia discesa, quella da noi seguita, è tornata agibile. Permangono in parete bolli e frecce rosse che indicano la discesa tracciata nel 2011. Entrambe le soluzioni sono possibili.

Note

Racconto tratto dal sito www.rampegoni.it e da "Le Tofane biografia di una montagna" di Luciano Viazzi - ed. Manfrini 1983:
IN TEMPO DI GUERRA
Le finestre rimanevano aperte, com’era oramai un’abitudine, in quell’inizio estate del 1944. Il suono della sirena si alzava come un lamento lento, lontano, ma crescente e non c’era tempo se non per avvolgere il pane in un panno e precipitarsi per le scale, sobbalzando per il tremore delle pareti, ascoltando attoniti il muggito delle bombe che sibilano nell’aria, di echi di morte tra appartamenti svuotati, come se un gigantesco verme stesse scavando il ventre stesso della terra. La prima scossa era sempre la peggiore.
Poco più in là, oltre l’orizzonte di pianure fumanti, si alzavano ancora immote le montagne. Eppure anch’esse sembravano cupe, come le facce della gente di fronte all’ennesimo rastrellamento. Camion che arrivano vuoti e ripartono pieni. Spari e silenzi.
Anche le finestre della casa del Vecio erano aperte, ma altre erano le sirene che lui ascoltava in quei giorni. Da qualunque angolo lo guardasse, in qualunque situazione, dovunque lui alzasse gli occhi nella Cortina che si preparava alla quinta estate di guerra, le sirene del Pilastro non smettevano di intonare il loro canto.
Non era lui ad osservare la parete, ma la parete stessa a interrogarlo. Come una conversazione che solo loro potevano intendere, il Vecio e il Pilastro si parlavano.
"Quando verrai a trovarci?" sembravano dire quelle pietre cangianti dal grigio al rosso al giallo al nero. Un caleidoscopio di calcari che rinnovava ogni sera il suo invito. Eppure il Vecio sapeva, aveva visto tutto. La montagna sembrava avergli rivelato ogni indizio. Ora non restava che comporre il mosaico.
"Nano" come era soprannominato Romano Apollonio, uno dei più promettenti Scoiattoli in quel periodo, era appena rientrato da una licenza del servizio di leva militare. Ormai la guerra sembrava la condizione permanente della gente, sebbene si avvertisse nell’aria qualcosa in arrivo. I tedeschi stessi sembravano aver perso quella sicurezza dei primi mesi di occupazione. I rastrellamenti si erano fatti più crudi ed intensi.
Aveva sognato a lungo le sue montagne, il Nano.
Le immaginava nell’enrosadira del tramonto, o nelle prime giornate di estate alle Cinque Torri, odore dei crochi che spuntano dalla neve e prime scalate. Ma sapeva di non essere in grado di affrontare niente di impegnativo al momento. Nessuno lo era, lo si leggeva nelle facce dei compagni, dei pochi rimasti, dei pochissimi tornati. Perché le montagne erano gioia, erano libertà, e quella libertà quella gioia mancava da troppo tempo.
Però il Vecio – ah! – lui non mollava un colpo. Era difficile schiodarlo quando si piantava un’idea in testa. Lo incontrò per caso, una sera rientrando a casa. A dire vero il Nano sperava che accadesse qualcosa per non tornare in caserma, un qualsiasi espediente per rimandare ancora, sperare …
Ci pensò il Vecio a distrarlo. Sembrava parlasse come niente fosse accaduto. Come se tutti quegli anni fossero passati su binari paralleli, la guerra, la morte, i compagni persi appartenessero ad una altra dimensione. Ascoltava le sirene, il Vecio.
Gli raccontò del primo tentativo, nel 1943 con Igi Menardi e un secondo nel luglio del 1944 naufragato in partenza a causa di un temporale. Ci volle poco, alla fine, a convincere Nano se a cantare erano le sirene…

SCOIATTOLI, VECI, NANI E SCHIENE DI MULI...
13 luglio 1944, all’alba di una Cortina ancora sotto il dominio germanico ed in pieno secondo conflitto mondiale, Ettore Costantini e Romano Apollonio conosciuti dai loro compagni del gruppo rocciatori Scoiattoli come Vecio e Nano, si muovono veloci verso la parete sud della Tofana di Rozes, più precisamente verso il secondo dei pilastri, il più verticale e repulsivo con quella grande fascia gialla centrale.
La linea sembra fatta apposta per essere scalata. Una lunga, regolare, fessura taglia come un’incisione di bisturi le possenti placche basali, infrangendosi contro una sfuriata di tetti e muri giallastri aperti come una ferita nel cuore della parete. E oltre questa nota dissonante, ancora fughe di diedri, camini, fessure nella vertiginosa altezza del pilastro. La linea perfetta.
In paio d’ore raggiungono il punto massimo raggiunto nei due tentativi precedenti. Ettore si trova alla base della fessura che taglia tutta la parete nera, prima di raggiungerla bisogna superare una decina di metri di rocce gialle e friabili che costituiranno le prime difficoltà della giornata. Ricorda Romano:
"Ci aspetta, ora, una fessura nera torva e minacciosa, solcata da parecchi tetti … La roccia, per fortuna, permette l’uso dei chiodi e così, con duro lavoro, e l’uso di questi ultimi, il Vecio riesce a superare i primi tre tetti.”
Si ritrovano a mezzogiorno alla base della fascia gialla e strapiombate.
Racconta Ettore:
"è mezzogiorno, mangiamo un boccone ammirando la bella parete tutta gobbe e soffitti che abbiamo sopra di noi. Lo spuntino è breve, ho fretta di attaccare, la roccia è rossa e assai friabile e quindi devo avanzare molto cautamente. Molti chiodi si staccano appena non hanno più su il mio peso; altri devo solo appoggiarli in qualche buco sperando che non mi facciano qualche brutto scherzo; la difficoltà è sempre al massimo grado.”
La cordata di scoiattoli prosegue lentamente, tra colpi di abile chiodatura e qualche slancio di coraggio. Del resto, allenati com’erano a quel genere di scalata, i due cortinesi non temevano certo le ore appesi alle staffe e a martellare chiodi.
Ettore: "...mi attacco con le mani al di fuori dell’orlo del tetto su un buon appiglio e lascio andare i piedi nel vuoto sperando di poter salire a forza di braccia; mi alzo mezzo metro poi appoggio un chiodo in fessura, gli do un paio di colpi di martello aggancio la corda e mi lascio andare …"
Romano: "Attento Salto! . Stringo spasmodicamente la mano attorno alla corda ed aspetto li strappo, forse fatale per entrambi. Invece, nulla. Poi, sento la sua voce più calma: Molla tutto!"
Così è vinto il primo tetto, Vecio prosegue lungo verticalissimi muri gialli fino a che una placca bianca di tre metri ne blocca la progressione, tanto da fargli dubitare di poter proseguire. Un placca breve ma liscissima che lo separa da un diedrino che lo condurrebbe sotto il secondo tetto. Nano da dei suggerimenti da sotto e gli fa avere un chiodo spuntato, che forse può essere risolutivo per superare quello specchio.
Ettore lo appoggia in un buco, quel tanto che gli basta per alzarsi e piantarne un secondo nella fessurina strapiombante del diedro. Ancora qualche metro e raggiunge il secondo tetto dove è costretto a sostare scomodamente sulle staffe.
Con non poca fatica superano anche il secondo tetto e raggiungano la cengia che definiranno il più bel posto di tutta la parete. Sono le venti ed il bivacco è inevitabile.
I due scoiattoli si preparano a passare la notte. Prima di dormire discutono della via e delle difficoltà superate, Ettore ha ben chiaro che il tratto più duro deve ancora arrivare. Quella che diventerà la famosa e temuta “schiena di mulo” incombe sopra le loro teste.
La notte passa senza disturbi, alle sei Ettore è nuovamente attaccato alla roccia.
Ettore: "In poco tempo, raggiungo la base della parete dello strapiombo, salgo tre o quattro metri piantando dei chiodi poco sicuri. Sono a metà degli strapiombi e non riesco a proseguire perché la corda non scorre, deve essersi attaccata da qualche parte. Sono obbligato a fermarmi là e aspettare Romano."
Romano: "Col martello raddrizziamo i pochi chiodi che ci restano e, poco dopo, il Vecio è già alle prese con una fessura, che minaccia di rovinare da sola tutti nostri progetti. I chiodi non ne vogliono sapere d’entrare e gli appigli microscopici e, da un quarto d’ora, sta lavorando per piantare un chiodo, che gli permetta di superare un forte strapiombo di un paio di metri. I chiodi entrano si e no un centimetro o due e poi, sotto il colpo di un martello un po’ più forte sono finiti così. Ad un tratto, mi dice: «Io tento tutto per tutto. O la va, o la spacca!»"
Ettore: "Appena arriva lui cerco di proseguire, ma i chiodi non attaccano; alcuni hanno già raggiunto il ghiaione alla base della parete. Mi viene un‘idea: tra la grande schiena e la parete c’è una fessura troppo larga per piantare i chiodi, perciò stacco alcuni sassi dove la roccia è friabile, li incastro nella fessura legandovi attorno dei cordini cosi posso proseguire arrivando in un camino alto sessanta metri. […]"
Romano: "Il Vecio sembra un felino in agguato, è tutto rannicchiato e si prepara allo scatto finale. Si alza rapidamente e riesce ad afferrare un appigli, sul quale, con sforzo sovrumano, si solleva. In quel momento, la staffa si leva e mi passa alle spalle fischiando. […] Poco dopo tocca a me, e mi accorgo che il Vecio aveva ragione. È questo il tratto più difficile della via e, se non ci fosse stata la provvidenziale corda fissa, non so come avrei fatto a raggiungerlo"

Ancora un camino non facile e poi inizia la lunga traversata verso sinistra, fino a che Romano vede sparire il Vecio dietro un spigolo, dal quale poco dopo arriva un urlo liberatorio "La vetta è qua. Abbiamo vinto".
Ancora un centinaio di rocce facili per poi uscire velocemente sulla cima del pilastro.
Alle due del pomeriggio del 14 luglio 1944, Ettore Costantini “Vecio” e Romano Appollonio “Nano” concludono l’apertura di quella che diventerà una delle più belle vie di VI delle Dolomiti.
In tempi in cui venivano commessi tra i più grandi crimini contro l’umanità e in cui molti coetanei dei due Scoiattoli morivano per i motivi più folli, sembra quasi paradossale che due giovani andassero volutamente a prendersi dei rischi per salire una parete. In realtà come tutti gli alpinisti cercavano solo di vivere in modo più intenso la vita; quell’intensità che Romano si portò sicuramente dentro fino alla fine della sua purtroppo, breve esistenza. Richiamato al servizio militare non farà più ritorno da quella folle guerra.

Pubblicazioni

Questa relazione è stata inserita nella guida ARRAMPICARE Dolomiti nord-orientali vol.1 edita da ViviDolomiti.
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Il diedro con cui inizia la via

Claudia sulla seconda lunghezza
   

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Luca sul terzo tiro

Quarta lunghezza

   

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Luca sotto lo strapiombino del sesto tiro

La settima lunghezza porta nel cuore dei "gialli"
   
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A sinistra Luca e a destra Claudia sulla nona lunghezza
   
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Claudia sul verticalissimo decimo tiro La temuta "Schiena di mulo"
   
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Bei diedri per concludere questa stupenda salita. L14 A pochi metri dalla quindicesima sosta
   

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La Tofana di Rozes con i tracciati delle vie: Dimai, Primo Spigolo (Alverà/Pompanin), Secondo Spigolo (Costantini/Ghedina),
Costantini/Apollonio, Terzo Spigolo (Alverà/Pompanin) e Spigolo Zero