Monte Colodri/Rupe Secca Est - Via Tyszkiewicz

 
Zona montuosa Prealpi Trentine - Valle del Sarca Località  di partenza Arco (TN)
Quota partenza 100 Mt. Quota di arrivo 310 Mt. circa
Dislivello totale

+10 Mt. circa per l'attacco
+200 Mt. la via (225 lo sviluppo)

Sentieri utilizzati n. 431B
Ore di salita 10' per l'attacco
4 h. la via
Ore di discesa

5' sino alla ferrata
25' la ferrata fino al parcheggio

Esposizione Est Giudizio sull'ascensione Ottima
Data di uscita 01/11/2014 (agg. rel. 18/03/17) Difficoltà VII+/VI, A0
Sass Balòss presenti
Bertoldo.
Amici presenti
Alessandro, Francesco, Natascia, Riccardo.
Condizioni climatiche, dei sentieri e della roccia

Giornata ottima con temperature gradevoli. Il sentiero che conduce all'attacco è evidente; la ferrata che si percorre in discesa non è difficile però presenta dei tratti molto unti e, se bagnati, decisamente scivolosi.
La roccia in via è ottima ma levigata dalle numerose ripetizioni.

Eventuali pericoli

Soliti da arrampicata in ambiente.

Presenza di acqua
No.
Punti di appoggio
Nessuno.
Materiale necessario oltre al tradizionale

Normale materiale per arrampicata su roccia. Necessario un assortimento di friends (n. 0.4, 0.5, 1, 2 e 3 Camalot) e cordini per proteggersi poiché gli spit sono stati posti solo nei tratti più impegnativi.

Caratteristiche dell'arrampicata

Descrizione generale
Il Monte Colodri è il simbolo dell'arrampicata nella Valle del Sarca. E' situato immediatamente a nord dell'abitato di Arco e presenta pareti molto verticali e strapiombanti percorse quasi ovunque da itinerari d'arrampicata. Dalle linee classiche lungo fessure e diedri affrontate già nella seconda metà degli anni '70 a quelle estreme in artificiale o chiodate per l'arrampicata libera su difficilissime placche.
In comune hanno arrampicata atletica e roccia quasi sempre ottima.
La via Tyszkiewicz è stata salita da Giovanni Groaz e Romano Segalla nel 1976 i quali, raggiunta la grotta della seconda sosta, trovarono la scritta "Tyszkiewicz 1804" e una vecchia lanterna (una storia analoga alla via
Il tesoro degli Dei in Sicilia). Un articolo sulla storia dell'esplorazione del "Bus del Romit", così è stata nominata questa grotta, è stato scritto da Marco Ischia (vedi "note" a fine relazione). Tutte le soste sono attrezzate con un chiodo cementato ed anello. Di recente tutta la zona nei pressi dell'attacco è stata completamente recintata con cartelli di proprietà privata. Non è ancora chiaro se la via sarà destinata a rimanere un ricordo o potrà ancora essere salita e apprezzata. Forse "chiedendo permesso" al proprietario...
Attacco, descrizione della via
Da Arco di Trento imboccare la strada che conduce ai campeggi e alla piscina comunale, ove conviene parcheggiare. Da qui seguire la strada asfaltata in direzione di Arco e poco dopo, in corrispondenza di una chiesetta bianca sulla destra, imboccare una stradina sterrata. Continuare poi lungo un sentierino sino alla base della parete (in prossimità dell'attacco della via Styria - scritta alla base). Spostarsi a destra sino un diedro fessurato con albero. Appena più a destra è inciso sulla roccia il nome della via (per buona parte poco leggibile).

1° tiro:
salire il diedro fin sotto la terrazza boscosa. Qui obliquare verso destra su rampa e poi traversare su cengia verso destra fino alla sosta (1 chiodo cementato con anello). 40 Mt., V+, IV+.

2° tiro:
salire la bella placca in verticale e poi traversare verso destra sino ad entrare in un colatoio dove, diversi gradini scavati, consentono di raggiungere la sosta (1 chiodo cementato con anello) nel fondo della nicchia. 30 Mt., V, V+, II, 2 chiodi cementati con anello, 1 spit.

3° tiro:
salire la fessura a sinistra della nicchia. Al suo termine seguire la rampa fessurata verso sinistra sino alla sosta (1 chiodo cementato con anello). 20 Mt., V, IV, 1 spit.

4° tiro:
portarsi sotto il muro che oppone un passo atletico iniziale. Traversare poi a sinistra e risalire lo spigolino fino al suo termine. Rimontare la placca a gocce e obliquare verso destra puntando alla grotta nella quale si sosta (1 chiodo cementato con anello).
35 Mt., V+, VII+ oppure A0, V+, 6 spit, 2 chiodi.

5° tiro:
portarsi sul fianco destro della parete uscendo atleticamente dalla grotta e proseguire nel soprastante diedro fessurato. Al suo termine alzarsi su rocce più semplici e spostarsi a sinistra raggiungendo la sosta (1 chiodo cementato con anello).
30 Mt., VI+ oppure A0, VI, V+, IV, 5 spit.

6° tiro:
superare il muretto iniziale e obliquare leggermente a sinistra in direzione di un diedrino fessurato oltre il quale si supera un altro breve muretto. Traversa verso sinistra ad una pianta (passo in discesa) e poi salire fino alla sosta (1 chiodo cementato con anello).
40 Mt., VI+ oppure A0, V+, IV, 3 spit.

7° tiro:
salire la placca sfruttando la fessura e spostarsi a destra alla base della lama. Salirla atleticamente e, dove si allarga, spostarsi a sinistra alla base di una placca tecnica che riporta a destra al termine della lama. Per rocce semplici raggiungere la sommità dove si sosta (1 chiodo cementato con anello). 30 Mt., IV, VI, VII oppure A0, IV, 4 spit.
Discesa
Dal termine della via imboccare una traccia di sentiero in salita che, superando delle roccette, conduce alla ferrata dei Colodri (sentiero n. 431B). Mediante questa scendere in direzione di Arco e quindi al parcheggio.

Note

La prima esplorazione del Bus del Romit N. 38 V.T.
di Marco Ischia (pubblicato sul Bolletino SAT n.1-2018)
Chi osserva la parete est del Colodri, montagna rinomata per le sue falesie d’arrampicata al punto di essere stata definita “El Capitan dei poveri”, può scorgere in basso nell’anticima, meglio nota come “Rupe secca” (1), un antro di ridotte dimensioni e di forma rotonda.
La “grande nicchia”, così veniva indicata nelle relazioni alpinistiche, si raggiunge al termine del secondo tiro della “via Tyszkiewicz”, salita per la prima volta da Giovanni Groaz e Romano Segalla nel marzo 1976.
I due alpinisti attaccarono la via «in un diedro liscio che porta su rocce facili ma sporche d’erba» e al secondo tiro, piegando a destra, puntarono a una fessura, un colatoio sulla cui sommità raggiunsero la cavità, fissandovi la seconda sosta: «qui i primi salitori hanno trovato segni di precedenti tentativi» (2).
La relazione alpinistica non specificava se tali tentativi fossero opera di alpinisti intenzionati a salire ulteriormente la parete, o se si riferissero all’arrampicata necessaria per accedere alla nicchia, che è una delle prime cavità registrate nel Catasto speleologico regionale.
Il Bus del Romit, questo è il nome che fu dato alla nicchia, fu iscritto ancora da Ezio Mosna, al N. 38 del primo elenco delle cavità della regione, istituito a cavallo tra gli anni Venti e Trenta del secolo scorso (3).
“Romit” è nella terminologia popolare l’eremita (4) e la cavità deve essere servita in passato quale rifugio di un solitario personaggio oppure un emarginato.
Fu Tommaso Bresciani, in un articolo pubblicato nel 1927 su “Il Brennero”, a ricordare che la piccola grotta doveva essere servita quale: «dimora di qualche stilita, ridottosi in antico tempo lassù per far penitenza» (5). Bresciani, rifacendosi alle memorie dell’arciprete Pisoni, aggiungeva che nel 1755 tre arcensi raggiunsero in arrampicata la nicchia: «con pioli infissi e funi e gli escursionisti vi scoprirono i resti di un misero giaciglio e resti di cucchiai e coltelli».
La notizia non sembra attendibile, se si fa riferimento alla data riportata e si considera che Giacomo Luigi Pisoni nacque a Madruzzo nel 1756 e venne ad Arco come cappellano nel 1788, diventando arciprete nel 1795. Le memorie del religioso confermano tuttavia che la cavità fu raggiunta da tre arcensi, ma cinquant’anni dopo, nel 1804: «Ai 21 Giugno Valentino Calzà detto Tiralana, Bortolo [Paolo] Canevari e Francesco Morandi a forza di scale e di ponti, mediante tre anelli piantati ossia impiantati nella crona e qualche altra cavicchia di ferro sono andati nella buca della crona in faccia a S. Apollinare, ove hanno trovata una soffitta sufficientemente conservata e dei carboni. Li 24 con dette soghe si sono calati nella buca di sotto, ove hanno ritrovato qualche vaso di terra, boccale, scodelle con un coltello e sforzina e segnali di qualche antichità e di povera abitazione, benché non resti di ciò alcuna memoria» (6).
Della seconda esplorazione tenuta dai tre arcensi ne lasciò traccia anche Carlo Antonio Marcabruni, nella sua “Cronaca”. Marcabruni indicava la grotta con il nome di “Antro nella Corna sopra Prabi in faccia a S. Apollinare”. Di seguito la sua memoria:
«Domenica 24 giugno 1804.
Stasera dopo il Vespro, Valentino figlio di Gian Battista Calzà e Paolo figlio di Paolo Canevari ambi di Arco, e Francesco Morandi dai Masi del Dosso, pure marangone abitante in Arco, ebbero il coraggio di ascendere per sentieri già preparati negli scorsi giorni a due antri esistenti al mezzo della cima della Corna che guarda verso Prabi in faccia alla Cappella di Sant’Appollinare i quali mostrano di essere stati abitati ne tempi antichi, poiché all’ingresso dell’antro meno alto si vedeva un grosso legno o scranno indicante che una volta vi fosse sottoposto qualche tavolo, nell’antro superiore poi si accedeva ancora un pezzo… tavolo e niuno finora aveva avuto il coraggio di ascendere nei detti antri e cercare se vi fosse qualche cosa preziosa od almeno rilevare a che uso possano aver servito, sembravano inaccessibili. Meritano dunque lodi gli antidetti Calzà, Canevari e Morandi poiché vi ascesero come si dice facilmente e vi trovarono come poi riferirono e fu osservato da molti spettatori accorsi, un Boccale grande e un pezzo di terracotta ossia mattone ed una scodella di legno, ed un cucchiaio di legno, una forchetta e un coltello di latta, una piccola scodella ossia chiocciola, una lanterna rotta, ed una lampadina di vetro appesa in aria con filo di ferro, una cassetta di legno fracida e della paglia pure infracidita. Dal che si arguisce che queste grotte od antri servivano di alloggio a qualche eremita» (7).
Se è ormai indubbia la data della prima esplorazione del Bus del Romit, ovvero l’anno 1804, data peraltro incisa nella roccia, all’interno della nicchia, dai tre esploratori, rimane ancora avvolto nel mistero l’itinerario seguito lungo la parete per raggiungere le grotta.
Sia l’arciprete Giacomo Luigi Pisoni che Carlo Antonio Marcabruni accennano nelle loro memorie a due cavità situate sulla parete rocciosa, raggiunte con “scale e ponti”, la seconda nicchia sembra addirittura per calata.
La relazione alpinistica della “via Tyszkiewicz” segnalava la presenza nel primo tiro di rocce facili e sporche d’erba e di “vecchi chiodi” all’inizio del secondo tiro, nel tratto dove si deve piegare a destra. Altre relazioni riguardanti la via accennano a diversi gradini scavati nel colatoio sottostante la cavità (8).
Va ricordato tuttavia che la grotta fu raggiunta nel 1955 dai satini arcensi Giovanni Monti e Janek Tyszkiewicz, su richiesta dei carabinieri di Arco, impegnati a indagare sulla presenza di eventuale refurtiva, in quello che allora fu chiamato il “Bus del Lader” (9). Janek Tyszkiewicz scrisse il proprio cognome nella nicchia, poco sotto la data 1804 e molto probabilmente il nome della via di roccia, dato nel 1976 da Groaz e Segalla, si deve proprio a questa iscrizione (10).

(1) È la falesia compresa tra il profilo dello spigolo sud e la zona dove sale il sentiero attrezzato. L’area di accesso all’attacco della via Tyszkiewicz è attualmente recintata e non accessibile.
(2) Giuliano Emanuelli, Sergio Calzà (a cura di), Vie di roccia e grotte dell’Alto Garda, SAT Sezione di Arco, 1983, pp. 81-82.
(3) Ezio Mosna, L'esplorazione speleologica della Venezia Tridentina, Studi trentini di scienze naturali, Trento, A. 10, fasc. 3, 1929, pp. 173-186. La cavità fu segnalata a Mosna nel 1929, dal Gruppo Grotte SAT Riva o, più probabilmente, da Tommaso Bresciani, ma non fu esplorata da nessuno.
(4) Paolo Zambotto, Toponomastica, storia e folclore delle grotte trentine, Natura Alpina, Trento, v. 31, n. 22, 1980, pp. 101, 109.
(5) Tommaso Bresciani, A proposito di grotte e caverne, Il Brennero, Trento, A. 4, 18 ottobre 1927.
(6) Mauro Grazioli (a cura di), Cronaca di Arco 1771-1879, Il Sommolago, 1991, p. 94.
(7) Saveria Carloni (a cura di), Cronaca di Carlo Antonio Marcabruni 1801-1826. Note ossia memoria di cose particolari di mia patria e famiglia dall’anno 1801, Il Sommolago, A. XIX, n. 2, agosto 2002, p. 50.
(8) Si veda la relazione pubblicata sul sito: www.sassbaloss.com (ossia questa relazione).
(9) AA.VV., Arco e la SAT. 70 anni di storia, SAT Sezione di Arco, 2002, p. 203. La scalata di Monti e Tyszkiewicz fu immortalata con due fotografie pubblicate nel volume.
(10) Vedi fotografia n.1 inserita al fondo di questa relazione.

Commenti vari

Come per tutte le altre vie della valle è consigliata la salita nelle mezze stagioni o nelle belle giornate invernali. Da tenere presente però che la via è esposta ad est e va in ombra presto. Da evitare comunque il periodo estivo.

Altre ripetizioni
Luca e Claudia il 18 marzo 2017.
   

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La scritta "Tyszkiewicz 1804" presente nella nicchia della S2 Claudia alla seconda sosta
   

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Natascia impegnata a salire la bellissima fessura del terzo tiro

Inizio del difficile muro del quarto tiro

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Claudia alla terza sosta Luca esce dalla grotta della quarta sosta
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Muretto all'inizio del sesto tiro Alessandro sull'ultima lunghezza

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Will, Alessandro, Natascia, Riccardo e Francesco a fine via

La parete est della Rupe Secca con i tracciati delle vie:
Cinque stagioni, Tyszkiewicz, Marino Stenico, Cismon '93 e Aspettando Martino